venerdì 6 settembre 2013

Paesi in Via di Inviluppo - Per una Definizione Condivisa

Spesso mi chiedo come mai nessuno ha ancora pensato a formalizzare una definizione di Paesi in Via di Inviluppo (PVI), nonostante questo termine dovrebbe essere utilizzato in via informale abbastanza diffusamente, e mi sembrerebbe strano se così non fosse.

Basandomi sulla mia limitata conoscenza dei Paesi in Via di Sviluppo e dei Paesi Sottosviluppati tout court, volevo provare a buttare giù un elenco aperto di indicatori che possano servire da punto di riferimento per giudicare quanto un certo Paese possa rispecchiare la petita definizione di Paese in Via di Inviluppo.

In altre parole, fissando degli indicatori che in qualche modo facciano da punto di arrivo, misurando la velocità con cui un Paese si muove verso il raggiungimento di questi indicatori si può fare una stima della possibilità di considerarlo o meno un Paese in Via di Inviluppo.



Gli indicatori che mi vengono in mente sono:

1) L'insieme delle classi privilegiate e della classe media è composta da non più del 10% della popolazione, e la classe media ha una qualità della vita superiore alla qualità della vita standard della classe media in un c.d. Paese Avanzato. Questo è dovuto al fatto che il costo del lavoro è relativamente assai basso ed è normale per un esponente della classe media vivere in una casa di 200 mq con 4 o 5 persone a servizio.

2) L'80% della popolazione non ha capacità di risparmio e il 90% della popolazione non ha possibilità di indebitarsi con il sistema bancario. La differenza negativa tra reddito e consumo è in genere coperta da trasferimenti operati da amici o parenti benestanti, organizzazioni private o organizzazioni pubbliche sovranazionali o di Stati Esteri, tipicamente non da organizzazioni pubbliche interne.

3) Il 90% degli addetti alla grande distribuzione non ha la possibilità di fare più del 15% in volume della propria spesa alimentare presso la catena per cui lavorano.

4) Lo sfruttamento delle risorse naturali in senso lato del Paese è condotto al 95% (in valore) da operatori esteri. Questo comprende risorse naturali, turismo, manodopera a basso costo, capacità di alimentare guerra, e qualsiasi altra cosa possa avere interesse economico.

5) Il 60% dei laureati nel Paese trovano collocazione lavorativa all'estero e il 95% desidera farlo indipendentemente dal fatto di riuscirci o meno.

6) Il 95% delle persone ha come incentivo largamente predominante al risparmio (indipendentemente dal fatto che riescano effettivamente a risparmiare o meno) l'eventualità di dover ricorrere a cure sanitarie in strutture private aventi scopo di lucro.

7) La speranza di vita alla nascita è inferiore a 60 anni considerando la mortalità di tutta la popolazione a qualsiasi età.

8) Non è possibile, seguendo i normali canali, ottenere la cittadinanza o la residenza permanente nel Paese prima di 12 anni.

9) La retribuzione media nel settore pubblico è almeno il doppio della retribuzione media nel settore privato.

10) Il 95% della popolazione non ha una linea telefonica fissa nella propria abitazione.

11) Almeno il 15% della popolazione in età da lavoro è impiegata nel mercato del sesso, e ne ricava un introito medio pari ad almeno 5 volte il salario minimo medio del settore formale dell'economia, considerando solo commercio, industria e servizi.

Fermo restando che accoglierei con favore qualsiasi suggerimento per integrare la lista e/o rendere più plausibili i valori di riferimento, come anche qualsiasi accusa di avere scelto i parametri in modo strumentale, la mia proposta è quella di considerare Paese in via di Inviluppo qualsiasi Paese che, da un anno all'altro, registri un regresso verso i valori di riferimento per almeno 8 paramentri su 11. Ovviamente considerando anche i parametri con valori di riferimento già raggiunti o superati.



 

sabato 8 giugno 2013

Money or Big Data?

E' noto che una delle funzioni principali della moneta è quella di fungere da mezzo di scambio universale. Come corollario e conseguenza un'altra funzione fondamentale è quella di essere misura del valore di ogni altro bene.

In un mondo in cui l'informazione è molto difficile da ottenere e, ove ottenibile, lo è a caro prezzo, la moneta ha rappresentato un modo molto efficiente per regolare gli scambi economici.

Qualsiasi bene di cui una persona ritiene di potersi alienare è potenzialmente scambiabile con una certa quantità di denaro, mediante il quale è possibile procurarsi i beni di cui si ha necessità.

Il fatto che l'alienazione non dovesse più necessariamente coincidere temporalmente con l'acquisizione del bene finale cui si è interessati, ha comportato lo sviluppo di un'ulteriore funzione della moneta, quella di riserva di valore.


Ma è ancora questo il mondo in cui viviamo? Evidentemente no. Rispetto a soli 20 anni fa l'informazione oggi è disponibile in quantità infinitamente superiore ed è fruibile e producibile a costi infinitamente inferiori.

Ma se la moneta è nata come risposta al problema dell'estrema scarsità e costo dell'informazione, è possibile che una mutazione così drastica nelle possibilità di circolazione e creazione delle informazioni possa non avere alcun effetto sul ruolo che  la moneta dovrebbe avere in un sistema economico efficiente? E' possibile, ma da un punto di vista razionale mi sembra molto poco probabile.

E' razionale al decrescere dei vincoli informativi, e se si fino a quando, che lo scambio tra due beni debba dipendere dalla disponibilità di un terzo bene? E che gli scambi avvengano ad un prezzo medio per ciascun bene espresso in quantità di moneta, invece che al prezzo puntuale rappresentato dall'interesse che due specifiche persone hanno di scambiarsi due particolari beni con una determinata disponibilità temporale?

Tralasciando il fattore temporale della disponibilità che può agire allo stesso modo in tutti e due gli scenari, In un mondo con n beni ed m persone la presenza della moneta tendere, in equilibrio, a creare n prezzi, mentre l'assenza della moneta, quindi un sistema di baratto, tenderebbe potenzialmente a creare (n-1)^2 * (m-1)^2 prezzi.

In assenza di vincoli informativi, è facile immaginare quale dei due sistemi di prezzo potrebbe portare ad una maggiore utilità totale per gli appartenenti al sistema economico.

Così come è facile immaginare che una diminuita importanza della moneta come mezzo di scambio e misura del valore porterebbe anche alla ridefinizione del suo ruolo come riserva di valore. Sarebbe ancora razionale considerare la moneta il bene fondamentale da usare come riserva di valore? E se si, potrebbe esserlo mantenendo l'attuale natura preponderantemente scritturale o non dovrebbe tornare nella direzione di un maggiore valore intrinseco?

Tutte domande a cui mi piacerebbe poter dare una risposta non dogmatica.

sabato 11 maggio 2013

E' veramente efficiente incentivare il controesodo dei "cervelli"?

Mi piacerebbe avere la possibilità di fare o sponsorizzare una ricerca sul tema della relazione tra efficienza e efficacia dell'azione politica e complessità dell'organizzazione sociale ed economica di una società.

La ricerca partirebbe dall'individuare due scale comparabili da 1 a 100.
Su una scala si misurerà la produttività della classe politica in termini di capacità di dare soluzione rapida a problemi complessi. 100 significa la capacità di dare soluzione con la massima rapidità a problemi della massima complessità.

Sull'altra scala si misurerà la complessità della organizzazione sociale economica in termini di multiculturalità della popolazione, di innovatività del contenuto della produzione e diffusione della conoscenza tra la popolazione. Qui 100 significherà il massimo dell'attrazione verso persone di tutte le provenienze, che collaborano con i locali per sostenere un'economia caratterizzata dal massimo contenuto di innovazione e di impiego di conoscenza diffusa.


Il postulato intermedio sarebbe che l'apporto della classe politica allo sviluppo della società è positivo in senso crescente solo quando l'indicatore comparato della produttività della classe politica supera l'indicatore comparato della complessità della società.

La teoria da dimostrare sarebbe che, vista la difficoltà e lentezza con cui si può ottenere un aumento della produttività e della qualità in generale della classe politica è efficiente e conveniente lasciar declinare la complessità della società, lasciando che le persone più qualificate e le produzione più avanzate tecnologicamente si spostino all'estero, in modo da accorciare il tempo necessario per raggiungere il break point in cui la classe politica è in grado di gestire il livello di complessità della società è può così incominciare a dare un apporto positivo anziché progressivamente distruttivo allo sviluppo della società.

La dimostrazione di questa teoria servirebbe a dimostrare che i programmi che incentivano il rientro dell'emigrazione qualificata andrebbero nel senso di ritardare anzichè velocizzare il processo di adeguamento della classe politica alla complessità della società e sarebbere destinati a fallire più o meno rapidamente, oltre che essere facilemte soggetti al fenomeno, devastante dal punto di vista dell'immagine del paese, del contro-contro esodo.

In altre parole, il futuro sviluppo della società potrebbe essere aiutato dal fatto che il lento progresso della classe politica sia coadiuvato da un più rapido declino iniziale della società e quindi della complessità dei problemi da affrontare, in attesa che il raggiungimento del punto di equilibrio faccia scattare un processo virtuoso di crescita interna e attrattività verso l'esterno altrimenti destinato ad allontanarsi sempre di più nel tempo.


martedì 30 aprile 2013

Moneta e ottimizzazione dinamica

L'ottimizzazione dinamica come evoluzione dell'ottimizzazione statica, idealmente nel continuo temporale o in un orizzonte temporale non finito, intende portare maggiore realismo e potenza di analisi alla teoria economica, spesso accusata di partire da presupposti talmente semplificati da rendere i risultati dell'analisi totalmente irrealistici.
In parole povere penso di poter dire che la massimizzazione del profitto è un obiettivo di ottimizzazione statica, mentre il perseguimento di un profitto sostenibile è un problema di ottimizzazione dinamica (mi rendo conto che questo esempio costituisce di per se stesso un giudizio di valore). 
La moneta potrebbe essere vista come una grandezza economica particolarmente adatta ad essere studiata e gestita in termini di ottimizzazione statica. Almeno è quello che sembrano pensare i fautori del fine tuning.
E' ragionevole però pensare che, in un periodo in cui i vincoli politici all'utilizzo della leva monetaria sono particolarmente stringenti, l'ottimizzazione dinamica venga a vedere accresciuta la sua importanza in questo campo, come conseguenza dell'accresciuta rigidità decisionale.

mercoledì 27 marzo 2013

Economia della condivisione

Anche l'Economist si è interessato di recente all'economia della condivisione, segno dell'interesse che sta circondando questa che definerei essenzialmente, ma non solo, una nuova modalità di consumo.

Economia della condivisione e del riutilizzo. Condivisione sembra puntare l'accento sull'aspetto sociale, mentre riutilizzo sull'aspetto strettamente economico, ma quello che mi interessa è valutare questa modalità di consumo (non compro ma prendo a prestito da chi ha una cosa e la utilizza solo per parte del tempo, oppure compro e utilizzo una cosa in modo collettivo; prima di comprare una cosa nuova valuto la possibilità di comprarla o comunque ottenerla da chi la possiede ma non ne ha più bisogno) dal punto di vista della razionalità economica.



La teorizzazione del nostro sistema di produzione e consumo si basa sul fatto che il comportamento degli attori economici sia razionale, ma la realtà mi sembra più contraddittoria.

Mentre è scontato che i produttori adottino tutte le misure per contenere i costi di produzione, cercando di ottenere i fattori di produzione, lavoro compreso, al prezzo più scontato possibile, ai consumatori viene in realtà richiesto, tramite i modelli culturali e la pubblicità, di comportarsi in modo diametralmente opposto, ossia di sprecare il più possibile, di comprare al prezzo più alto possibile.

La situazione attuale sta mettendo in luce come uno dei presupposti dell'economia classica, cioè che il salario dei lavoratori sia tendenzialmente schiacciato al livello di sussistenza, sia drammaticamente verificato. Il trucco, essendoci vincoli alla riduzione dei salari nominali, non è o non è solo nell'aumento dei prezzi, che potrebbe avere controindicazioni. Il trucco è nell'aumentare, nella percezione delle persone, la quantità e la qualità di cose che è necessario consumare.

Di questi tempi si parla spesso di complotti, ma io non credo ai complotti. La complessità e interconnessione del mondo moderno è tale, e la possibilità degli uomini di governarla talmente limitata, che qualsiasi complotto rischierebbe di scoppiare in mano in primo luogo a chi lo ordisce. Ma se c'è un "complotto" che si realizza ogni giorno nella nostra società è quello di convincere i consumatori (cioè tutti, anche i produttori quando sono in veste di consumatori) a comportarsi in modo economicamente irrazionale, cioè a perseguire lo spreco, ad ottenere i loro "fattori della produzione" al prezzo più alto e alle condizioni più svantaggiose.

Il consumatore che agisce in modo economicamente razionale assume un potere immenso, se moltiplicato per il numero di potenziali consumatori. Potere in grado di scardinare qualsiasi complotto, vero o presunto.

Il rovescio della medaglia è che non sono sicuro, e credo che nessuno possa esserlo, se l'attuale sistema produttivo e sociale possa migrare, senza collassi drammatici e tragici scossoni, da un'economia basata sull'irrazionalità dei consumatori e sull'accumulazione dei produttori ad un'economia della condivisione basata su razionalità dei consumatori e accumulazione ridotta ma diffusa.

Se la risposta è negativa, allora l'appello all'irrazionalità dei consumatori più che un complotto potrebbe essere la disperata speranza di allontanare il più possibile il momento in cui potrebbe venire drammaticamente a galla l'intrinseca irrazionalità del sistema.

L'immagine è tratta dal sito "Canova a cinque stelle" e si trova al link http://m5scanosa.it/index.php?d=05&m=11&y=12.


venerdì 8 marzo 2013

Tranquilli, i mercati sono tranquilli

Questa mattina sulla radio del Sole 24 Ore ho ascoltato un commentatore constatare, con un certo compiacimento, che, nonostante la situazione politica post-elezioni in Italia sia nel caos più totale e che la prospettiva di un Governo limitato all'ordinaria amministrazione sia al momento indefinita in termini temporali, i mercati finanziari appaiono tranquilli, quasi disinteressati, e lo spread tra i tassi dei bonds italiani e tedeschi si mantenga a livelli non di emergenza.


Questa mi sembra una non-notizia. Non vedo cosa ci sia da stupirsi se i mercati finanziari sono tranquilli sino a quando c'è un governo debole. Secondo il mio punto di vista, i mercati finanziari, caso mai, temono i governi forti, non i governi deboli. I governi forti, se prendono iniziative, le prendono contro i mercati finanziari. Un governo che vuole fare qualcosa a favore dei mercati finanziari deve limitarsi a non fare niente, ma questo è in grado di farlo anche, anzi ancora meglio, un governo debole.

Chi si preoccupa del livello di occupazione in una fase di recessione ha più motivo di preoccuparsi per un governo debole. Qui non funziona allo stesso modo. O almeno non nel breve periodo. Certo, il governo potrebbe limitarsi a ridurre il livello di controllo sull'attività economica e magari le tasse, in modo che la compressione del costo del lavoro complessivo reindirizzi in modo positivo la compressione dei consumi nel senso dell'aumento delle esportazioni sui mercati esterni e degli investimenti sul mercato interno, in modo da arrivare, nel tempo, a maggiore occupazione rispetto al punto di partenza.

Ma chi non ha lavoro oggi ha bisogno di una risposta subito, non in tempi misurabili in ere geologiche e con qualche guerra sociale di mezzo. Per questo sarebbe più tranquillo con un governo forte (con i forti, non con i deboli), almeno ci sarebbe una certa percentuale di possibilità di cambiamento.

Per questo il fatto che i mercati finanziari sianto tranquilli mi sembra una ben magra consolazione. A meno di pensare che quello che conti sia l'economia finanziaria mentre l'economia reale sia un retaggio del passato da dimenticare al più presto.