Anche l'Economist si è interessato di recente all'economia della condivisione, segno dell'interesse che sta circondando questa che definerei essenzialmente, ma non solo, una nuova modalità di consumo.
Economia della condivisione e del riutilizzo. Condivisione sembra puntare l'accento sull'aspetto sociale, mentre riutilizzo sull'aspetto strettamente economico, ma quello che mi interessa è valutare questa modalità di consumo (non compro ma prendo a prestito da chi ha una cosa e la utilizza solo per parte del tempo, oppure compro e utilizzo una cosa in modo collettivo; prima di comprare una cosa nuova valuto la possibilità di comprarla o comunque ottenerla da chi la possiede ma non ne ha più bisogno) dal punto di vista della razionalità economica.
La teorizzazione del nostro sistema di produzione e consumo si basa sul fatto che il comportamento degli attori economici sia razionale, ma la realtà mi sembra più contraddittoria.
Mentre è scontato che i produttori adottino tutte le misure per contenere i costi di produzione, cercando di ottenere i fattori di produzione, lavoro compreso, al prezzo più scontato possibile, ai consumatori viene in realtà richiesto, tramite i modelli culturali e la pubblicità, di comportarsi in modo diametralmente opposto, ossia di sprecare il più possibile, di comprare al prezzo più alto possibile.
La situazione attuale sta mettendo in luce come uno dei presupposti dell'economia classica, cioè che il salario dei lavoratori sia tendenzialmente schiacciato al livello di sussistenza, sia drammaticamente verificato. Il trucco, essendoci vincoli alla riduzione dei salari nominali, non è o non è solo nell'aumento dei prezzi, che potrebbe avere controindicazioni. Il trucco è nell'aumentare, nella percezione delle persone, la quantità e la qualità di cose che è necessario consumare.
Di questi tempi si parla spesso di complotti, ma io non credo ai complotti. La complessità e interconnessione del mondo moderno è tale, e la possibilità degli uomini di governarla talmente limitata, che qualsiasi complotto rischierebbe di scoppiare in mano in primo luogo a chi lo ordisce. Ma se c'è un "complotto" che si realizza ogni giorno nella nostra società è quello di convincere i consumatori (cioè tutti, anche i produttori quando sono in veste di consumatori) a comportarsi in modo economicamente irrazionale, cioè a perseguire lo spreco, ad ottenere i loro "fattori della produzione" al prezzo più alto e alle condizioni più svantaggiose.
Il consumatore che agisce in modo economicamente razionale assume un potere immenso, se moltiplicato per il numero di potenziali consumatori. Potere in grado di scardinare qualsiasi complotto, vero o presunto.
Il rovescio della medaglia è che non sono sicuro, e credo che nessuno possa esserlo, se l'attuale sistema produttivo e sociale possa migrare, senza collassi drammatici e tragici scossoni, da un'economia basata sull'irrazionalità dei consumatori e sull'accumulazione dei produttori ad un'economia della condivisione basata su razionalità dei consumatori e accumulazione ridotta ma diffusa.
Se la risposta è negativa, allora l'appello all'irrazionalità dei consumatori più che un complotto potrebbe essere la disperata speranza di allontanare il più possibile il momento in cui potrebbe venire drammaticamente a galla l'intrinseca irrazionalità del sistema.
L'immagine è tratta dal sito "Canova a cinque stelle" e si trova al link http://m5scanosa.it/index.php?d=05&m=11&y=12.
mercoledì 27 marzo 2013
venerdì 8 marzo 2013
Tranquilli, i mercati sono tranquilli
Questa mattina sulla radio del Sole 24 Ore ho ascoltato un commentatore constatare, con un certo compiacimento, che, nonostante la situazione politica post-elezioni in Italia sia nel caos più totale e che la prospettiva di un Governo limitato all'ordinaria amministrazione sia al momento indefinita in termini temporali, i mercati finanziari appaiono tranquilli, quasi disinteressati, e lo spread tra i tassi dei bonds italiani e tedeschi si mantenga a livelli non di emergenza.
Questa mi sembra una non-notizia. Non vedo cosa ci sia da stupirsi se i mercati finanziari sono tranquilli sino a quando c'è un governo debole. Secondo il mio punto di vista, i mercati finanziari, caso mai, temono i governi forti, non i governi deboli. I governi forti, se prendono iniziative, le prendono contro i mercati finanziari. Un governo che vuole fare qualcosa a favore dei mercati finanziari deve limitarsi a non fare niente, ma questo è in grado di farlo anche, anzi ancora meglio, un governo debole.
Chi si preoccupa del livello di occupazione in una fase di recessione ha più motivo di preoccuparsi per un governo debole. Qui non funziona allo stesso modo. O almeno non nel breve periodo. Certo, il governo potrebbe limitarsi a ridurre il livello di controllo sull'attività economica e magari le tasse, in modo che la compressione del costo del lavoro complessivo reindirizzi in modo positivo la compressione dei consumi nel senso dell'aumento delle esportazioni sui mercati esterni e degli investimenti sul mercato interno, in modo da arrivare, nel tempo, a maggiore occupazione rispetto al punto di partenza.
Ma chi non ha lavoro oggi ha bisogno di una risposta subito, non in tempi misurabili in ere geologiche e con qualche guerra sociale di mezzo. Per questo sarebbe più tranquillo con un governo forte (con i forti, non con i deboli), almeno ci sarebbe una certa percentuale di possibilità di cambiamento.
Per questo il fatto che i mercati finanziari sianto tranquilli mi sembra una ben magra consolazione. A meno di pensare che quello che conti sia l'economia finanziaria mentre l'economia reale sia un retaggio del passato da dimenticare al più presto.
Questa mi sembra una non-notizia. Non vedo cosa ci sia da stupirsi se i mercati finanziari sono tranquilli sino a quando c'è un governo debole. Secondo il mio punto di vista, i mercati finanziari, caso mai, temono i governi forti, non i governi deboli. I governi forti, se prendono iniziative, le prendono contro i mercati finanziari. Un governo che vuole fare qualcosa a favore dei mercati finanziari deve limitarsi a non fare niente, ma questo è in grado di farlo anche, anzi ancora meglio, un governo debole.
Chi si preoccupa del livello di occupazione in una fase di recessione ha più motivo di preoccuparsi per un governo debole. Qui non funziona allo stesso modo. O almeno non nel breve periodo. Certo, il governo potrebbe limitarsi a ridurre il livello di controllo sull'attività economica e magari le tasse, in modo che la compressione del costo del lavoro complessivo reindirizzi in modo positivo la compressione dei consumi nel senso dell'aumento delle esportazioni sui mercati esterni e degli investimenti sul mercato interno, in modo da arrivare, nel tempo, a maggiore occupazione rispetto al punto di partenza.
Ma chi non ha lavoro oggi ha bisogno di una risposta subito, non in tempi misurabili in ere geologiche e con qualche guerra sociale di mezzo. Per questo sarebbe più tranquillo con un governo forte (con i forti, non con i deboli), almeno ci sarebbe una certa percentuale di possibilità di cambiamento.
Per questo il fatto che i mercati finanziari sianto tranquilli mi sembra una ben magra consolazione. A meno di pensare che quello che conti sia l'economia finanziaria mentre l'economia reale sia un retaggio del passato da dimenticare al più presto.
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